23.2.10

Il calore, un cagnolino e quegli «ohh». Così ci vedono i varesini.



Mentre un manipolo di tifosi biancorossi sbarcava all’aeroporto di Capodichino alle 11 di domenica mattina, le macchine e i pullmini della curva partiti alle 11 di sabato sera stavano superando l’uscita Cava de Tirreni sulla Salerno Reggio Calabria. Dodici ore, un vero Giro d’Italia, da Castronno a quest’angolo di Campania dove bellezza e malinconia sono più struggenti. Dove i tifosi azzurri di casa aspettano gli ospiti per offrire mozzarelle di bufala o scazzuoppoli, quadratini di pasta lievitata fritti e conditi con pomodoro e formaggio. Attorno al campo quasi una corona sfregiata: enormi palazzoni alti dieci piani, tutti gialli o grigi, con i lenzuoli e il bucato che scendono dai balconi e si allungano fino a sfiorare il tetto delle tribune e le teste degli spettatori. La partita si gioca tra lampi d’orgoglio e speranze ferite, senza un chiaro vincitore: una gru fa capolino da un cantiere abbandonato mentre spariscono uno dopo l’altro i babbà sul vassoio della tribuna stampa. Un omino alto come un putto avvolto da un bandierone dell’Italia gira per il campo e poi sale in tribuna, insieme all’odore del mare e degli scogli portato dal vento. E dalla pioggia che picchia all’improvviso e costringe decine di persone a rifugiarsi in sala stampa.
In qualche stadio, su al Nord, solerti addetti stampa le avrebbero cacciate fuori e qui invece le lasciano stare, così che possano stringersi e scaldarsi. Quando il brasiliano con la faccia triste da campione costringe un matto cronista varesino ad alzare un po’ l’enfasi e la voce, molte di loro accompagnano l’azione di Neto Pereira con quei bellissimi “oohh” di una volta, rintocchi perduti d’ingenuità.
Non abbiamo sentito un coro o un insulto contro il Varese: è la prima volta che accade e non crediamo che il merito sia stato di quella carezza che Dos Santos riserva a un cagnolino che invade il campo nella ripresa.

Confa - La Provincia di Varese